Le pietre è il secondo libro che leggo di Claudio Morandini, ma dopo Neve cane piede, avevo già sviluppato quel tipo di affidamento che alcuni autori sanno ingenerare nei lettori ed è stato confermato.
Un secondo romanzo breve, probabilmente questa concentrazione fa parte dello stile di Morandini, un secondo romanzo di montagna, ma un completo stravolgimento nelle presenze e nelle voci raccontate. Neve cane piede si muoveva sul pensiero del protagonista, Le pietre immerge il lettore in una comunità e nell’intreccio delle vite dei suoi membri.
La vita in montagna questa volta si svolge in un continuo andare e venire tra due paesi, Sostigno e Testagno, due nuclei alpini la cui valle ha una storia geologica irregolare, inusueta e che sta esprimendo se stessa alla massima potenza. Ed ecco le pietre.
Pietre vive, che si muovono, colpiscono, rotolano, ingombrano e feriscono, sembrano accanite contro una coppia, Ettore e Agnese Saponara, arrivata dalla città. Forse è una rivolta del territorio contro chi non lo capisce appieno, contro chi non lo ha nel sangue. O forse è uno scherzo degli altri abitanti della valle, perché quei cittadini se ne vadano. O magari sono proprio loro a creare la stranezza delle pietre sperando di vivacizzare l’ambiente.
Morandini lascia al lettore il suo percorso, inizialmente lo disorienta, poi lo guida, e infine gli lascia quello spazio necessario per riflettere, interpretare e cercare, dietro quella nuova storia di montagna, la propria soluzione.
Qualcosa di simile accadeva anche in Neve cane piede, ma questa volta la confusione tra ricordi e realtà dell’eremita protagonista del romanzo precedente, lascia il posto a un elemento fantastico dilagante, ma che non si ammanta di magia, bensì, con stupore del lettore, di realtà, perché niente è più tangibile di un sasso, di una roccia, di una pietra.
Un titolo al plurale, per una molteplicità di voci: in questo breve romanzo a ogni pietra che spunta o che ruzzola, corrisponde alla storia di un personaggio, o dell’intera comunità, tante le pietre, tanti i pensieri pronti a commentarle.
Un’altra bella prova di un autore che con pacata determinazione conduce il lettore nello spazio bianco del non detto, laddove l’interpretazione diventa la chiusura della storia.
(Laura Ganzetti, Il tè tostato)
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