Non solo per ragazzi

Per cominciare dobbiamo metterci in viaggio, scalare e oltrepassare i monti, affrontare tornanti (rischiando di «vomitare l’anima») e vette alpine con le nostre automobili elettroniche, anche se più che altro servirebbero pneumatici armati e differenziali ultraresistenti. Ma si sa come va il mondo, e lo sa bene Claudio Morandini quando sogna di un paese posto nelle pieghe dei monti, in chissà quale spazio e soprattutto quale tempo. Un tempo strano, dove accade di sentire gli echi di una civiltà montanara capace di parlare con la natura, mentre s’intravvede nelle tasche di Remigio, il ragazzo protagonista del romanzo, un cellulare. Inutilizzato, per la verità.
A Remigio interessa studiare, ottenere buoni risultati a scuola, anche se questo vuol dire attirarsi l’odio sgangherato dei compagni, e la gelosia ottusa degli insegnanti. Pocacosa è uno strano paese, fra le montagne, forse protetto da una cupola temporale che lo preserva dagli attacchi della Civiltà. Ma nei giorni del Carnevale nelle sue viuzze si scatenano orde impazzite, protette da mascheroni paurosi che minacciano, inseguono, dileggiano e fanno del male, vendicandosi pure del nostro eroe dodicenne. Tutto iniziò come una rivolta contro i notabili del paese, che si travestivano da duchi e duchesse e marciavano per le strade senza nemmeno sfilarsi gli orologi dai polsi. Un’insurrezione, fatta di bastoni di plastica, uova marce e palle di letame, da parte di mascheroni sempre più mostruosi e folli della ferocia di coloro che vi si celavano. Nessuno poteva riconoscere parenti, addirittura figli, sotto quelle schermature irriverenti e impazzite.
Di fronte a questi eventi, e alle minacce ricevute dai propri compagni, Remigio decide di costruirsi un’armatura, utilizzando e sottraendo ai genitori tutto quel che trova in casa, pentole, padelle, attrezzi vari. La fantasia gli prende la mano (pensa addirittura a specchietti retrovisori e lanciafiamme) e il marchingegno si trasforma in qualcosa d’ingestibile e infine distrutto nottetempo, nella rimessa, da nemici sconosciuti. Nel paese di Pocacosa i portatori di mascheroni hanno mille occhi.
Qui il romanzo di Morandini ha una svolta. Il protagonista si distacca dal mondo spaventoso in cui vive e che la sua mente, giovane ma dotata d’acutezza straordinaria, fatica ad accettare. Fugge, s’inerpica, parte di notte seguendo sentieri non tracciati, si trascina per boschi freddi e silenziosi dove la natura prende il sopravvento, dove probabilmente si rintana Bonifacio, un vecchio misterioso da tutti ritenuto creatura selvatica ai confini fra leggenda e verità. Forse mite, più probabilmente pericoloso. Remigio sta andando proprio alla sua ricerca. Un obiettivo che forse nemmeno esiste. Un babau inventato dai genitori per tenerlo buono in casa.
Esausto si addormenta o addirittura sviene sulle rocce ruvide, possibile preda di corvacci che non aspettano altro di poterlo spolpare. Si risveglia e Bonifacio è lì. Lo cura e gli parla. L’uomo-lupo, l’uomo-orso, l’uomo-albero. Lo nutre e gli insegna cose vertiginose. Perfino l’arte di rendersi invisibile, così come sanno fare gli animali del bosco. Quel che accade d’ora in poi vale la pena leggerlo nel pieno delle pagine del libro. Immersi nel brulichio di una natura dove è offerto tutto quanto occorre per capire il mondo e gli uomini. In compagnia di un essere in grado d’inventare e costruire qualsiasi cosa utilizzando leggerezza fantastica, come fosse libero dalla legge di gravità, e pezzi raccolti durante esplorazioni entusiasmanti. Remigio scopre sui terreni accidentati la paura vera degli animali in corsa per la vita, ben diversa da quella tramessa dai mascheroni, sente il profumo della libertà attraverso Bonifacio. Insieme sanno bene quel che devono fare.
Là in basso c’è Pocacosa, in attesa. Genitori e delinquenti compresi. E qualcosa accadrà.

(Piccola nota fuori onda: il libro appartiene a una collana pensata per i ragazzi. Adulti, rubate questo libro ai vostri figli. È un consiglio che non potete rifiutare.)

(Elio Grasso, Pulp Libri)

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