VETTE Claudio Morandini esplora un luogo molto praticato dai romanzieri, prendendo però altri sentieri
Tutti scendono dalla montagna degli «oscillanti»
Negli ultimi decenni la letteratura italiana ha visto intensificarsi un fenomeno di indubbio interesse ovvero il proliferare sugli scaffali di testi che parlano di montagna. Un successo di vendite e di pubblico, si pensi solo ai libri di Mauro Corona e allo Strega di Paolo Cognetti per le sue Otto montagne. Se, quindi, esiste questo specifico luogo letterario, Claudio Morandini con il suo nuovo romanzo, Gli oscillanti (Bompiani), si muove, per usare una metafora cara a questi testi, su altri sentieri.
Morandini è una voce diversa, estravagante nella sua eleganza rispetto a quella che potremmo chiamare letteratura della montagna. Come primo indizio basti una veloce ricapitolazione della trama del suo romanzo. La protagonista è un’etnomusicologa che arriva a Crottarda, una frazione, perennemente in ombra, dove il sole fa capolino per brevi sprazzi, per documentare e studiare una serie di canti e di voci, legate al mondo dei pastori. Durante la sua permanenza, però, vive esperienze strane, dovute all’antica e terribile faida che lega gli abitanti del piccolo paese al buio e «Quelli là», che vivono nel sole perenne che bacia il paese di Autelor. La protagonista, lentamente, come se vivesse in un incubo a bassa frequenza si troverà a indagare non tanto canti e folklore, ma buio, solitudine e morte.
Già da questo sommario rendiconto si può notare l’assoluta distanza di Morandini dagli altri testi a tema, non c’è nella sua storia nessun intento consolatorio o morale, la montagna non è vista come prova, come luogo per fare esperienza. La montagna non è, nell’opera di Morandini, quasi mai vetta, ascesa, salita, traguardo. Tanto che dal punto di vista linguistico la presenza di tali vocaboli è pressoché assente, o se è presente non assume mai valore simbolico.
I personaggi di Morandini tengono quasi sempre la testa bassa, se camminano badano a non inciampare nelle radici e pietre che trovano. Anche dal punto di vista delle atmosfere la montagna de Gli oscillanti ha un carattere di mistero, e non di salute e di ristoro: nella montagna di Morandini si diventa pazzi si hanno visioni da incubo. Crottarda e Autelor non hanno nulla della tinta pastello che sembra avvolgere i luoghi della narrativa di montagna, ma con il passare delle pagine i due centri abitati assomigliano a certi luoghi kingiani, in cui a contare sono i sotterranei: dove l’acqua, l’umido, il freddo si fanno, via via che il racconto procede, sempre più simbolicamente mortali.
Tutti i personaggi hanno un segreto, che profondamente tengono chiuso, che ha a che fare con il male, con qualcosa di alieno, di strano che noi lettori possiamo solo intuire. Anche per raccontare questa storia Morandini sceglie un punto di vista particolare: una scienziata che si occupa di musica. Il suo sguardo – il romanzo è in prima persona – è quello che assumiamo noi durante la lettura, e che via via, con piccoli e leggeri slittamenti, dosati con bravura da Morandini (una battuta di dialogo, una scena lievemente onirica, qualche notazione estravagante) ci permette di sprofondare nella realtà del romanzo.
La parola più pregnante di questo testo è scendere. Scendono i vari personaggi nelle loro cantine, scende la sera sul paese, si scende nelle doline, nei buchi che la montagna possiede nel fitto della vegetazione. Un romanzo sulla montagna sui generis, che Morandini accompagna con la sua scrittura netta, mai un compiacimento o un ammiccamento al lettore, che soprattutto rivela e porta a maturità una vena grottesca, già presente in Neve, cane, piede, cifra letteraria di questo scrittore. Sbaglierebbe, perciò, chi pensa che Gli oscillanti sia solo un romanzo sulla montagna. Con questo testo Morandini prova a raccontare il nostro rapporto con l’alieno e il diverso, che spesso non può essere compreso o studiato, ma semplicemente accettato per ciò che è. Gli oscillanti ci consegna un’opera matura e conferma Morandini come uno degli autori più interessanti della nostra attuale scena letteraria.
(Demetrio Paolin – La Lettura – Corriere della Sera, 7 luglio 2019)