Davvero li sento oscillare, questi poveri abitanti di Crottarda, in ogni gesto, ogni giorno, e se li potessi osservare nel corso della loro vita intera li vedrei oscillare da quando nascono a quando muoiono, tra la loro esistenza ufficiale e il loro lato nascosto, tra il bisogno di luce, sempre troppo scarsa e precaria, e l’attrazione per il buio che li insegue fin nelle case, fin nel sonno, tra lo sfogo ilare e triviale delle burle e un’insofferenza che spesso interrompe precipitosamente anche gli scherzi più elaborati e riporta un senso tangibile di malinconia. Coltivano antipatie, anzi odi atavici, ma allo stesso tempo non smettono di provare curiosità. Loro dicono che serve a tenere d’occhio il nemico, ma io ci leggo anche gelosia, invidia, una strana mistura di attrazione per ciò che non sono e non saranno mai e, forse, un’inconsapevole nostalgia per un tempo mitico in cui tutto procedeva in armonia.
Un’etnomusicologa torna nel paese di montagna dove trascorreva con la sua famiglia le vacanze per una ricerca sui canti dei pastori locali.
Crottarda, cittadina perennemente e letteralmente all’ombra delle alture, è abitata da persone che si sono abituate alle avverse condizioni metereologiche sviluppando abitudini inconsuete e un modus vivendi peculiare e disorientante. Gli stessi vivono con astio il rapporto di vicinato con Autelor, cittadina immersa e baciata dal sole e popolata da estroversi abitanti. I due avamposti sperduti in questa valle si scambiano dispetti e vendette in un gioco e passatempo senza fine.
Oscillano, i miei poveri crottardesi, tra bisogno di nascondersi e necessità di uscire alloscoperto, di respirare l’aria di fuori; tra impulso a esprimersi e mutismo, tra tripudio dei sensi, di tutti i sensi, anche quelli che noi non sappiamo più praticare, e chiusura di tutti gli orifizi nel silenzio, nel buio cieco, nell’assenza di contatto; tra un sopra che si allontana e diventa irraggiungibile, o che schiaccia e opprime, e un sotto in cui sprofondare, finalmente, e in cui continuare a nutrire risentimento e ansie; tra umano e non umano; tra vivo e non vivo. Gli oscillanti, mi viene da chiamarli. E a questo punto un po’ oscillante finisco per sentirmi anch’io.
La nostra protagonista, frustrata dalle abitudini della sua vita e in cerca di una affermazione in ambito accademico, vede una via di fuga nel trasferimento per lavoro in questo paesello. Uno staccarsi dalla sua routine e una ricerca di fatto che riguarda se stessa.
L’incontro con una ragazza, Bernardette, la turba, una giovane donna con cui lega e sviluppa una simbiosi, più di una amicizia. Lei innocente, selvaggia ma pura conquista la cittadina venuta in un luogo sperduto. Sia lei che il mondo crottardese le entrano nell’anima, le si incollano e ne è soggiogata, una esigenza che diventa dipendenza.
Corriamo tra i boschi, temiamo le doline. Tutto è friabile e metaforicamente gli smottamenti a cui è sottoposta la vallata con i suoi cunicoli rappresentano gli oscillamenti delle vite di ognuno di noi.
Claudio Morandini riesce a far immergere il lettore nello spirito della montagna restituendoci una originalità e vividezza anche antropologica di coloro che la vivono quotidianamente e non con visioni oleografiche. Una scrittura dove le descrizioni deliziose dei paesaggi e la perizia della caratterizzazione dei personaggi forniscono una forte empatia.
Amicizia, amore, insoddisfazione e ricerca di uno scopo. Sono solo alcuni degli spunti che regala la lettura di questo romanzo garbato e elegante. Elementi di inquietudine e pathos sono in crescendo scorrendo le pagine del libro. Un parossistico senso di vuoto che attraversa fatalisticamente la protagonista, un galleggiamento e senso di sconforto che la stordisce e la porta a sentirsi perduta e si acutizza nella sua espulsione da quei luoghi, di cui però non se ne staccherà mai, con propositi di ritorni. Indaga l’autore, l’anima che spaesata produce ipotesi e si arrovella ansiosa nel cercare risposte forse a domande che semplicemente ne sono sprovviste.
Arrendersi alla vita, al suo fluire, ritagliandosi una piccola oasi che produca tepore, questo è il messaggio che regala il romanzo.
Ci sono libri che conquistano, questo è il caso per “Gli oscillanti”. Un volume da rileggere per continuare a vivere insieme ai protagonisti respirando i misteri, le leggende e cercando di carpirne qualche recondito segreto.
Ci sono segreti che non si rivelano a nessuno, nemmeno alle persone a cui si vuole bene. Ci sono pensieri che le parole non sanno tradurre, e uscirebbero storpiati dalla nostra bocca, entrerebbero maciullati nelle orecchie altrui.
(Francesco Morra, Thriller Nord)