La caratteristica più impressionante di questo romanzo è la verosimiglianza. La scrittura efficace ma discreta (proprio come l’eleganza vera, che quando c’è non si fa notare) funziona come un vetro pulito, la cui trasparenza lascia credere che non vi siano barriere fra lo spettatore e la scena. Finisce che il lettore si strugge nello sforzo di discernere il vero dall’invenzione, perché se sulla copertina c’è scritto romanzo, c’è anche il sottotitolo Colloqui con Rafail Dvoinikov, che fa comunque pensare a un riferimento preciso. È dunque la storia romanzata di un musicista vero? O la storia vera, perché emblematica, di un personaggio inventato? Di sicuro ci sono i riferimenti storici, la Russia stalinista che mette i brividi, proprio la stessa che conosciamo da tante testimonianze. La traccia è semplice: un musicista americano, Ethan Prescott, va a intervistare un vecchio collega in quella che ormai è l’ex Unione Sovietica, e ne ricava una serie di appunti e di riflessioni che intende sviluppare in un libro. È l’occasione per incontrare personaggi indimenticabili. Oltre al vecchio musicista a cui la cecità non ha tolto lo spirito d’osservazione, né le persecuzioni subite hanno fatto venir meno l’ironia, c’è la dolce Polina, fedele assistente e traduttrice, la cui femminilità riesce a mettere per un momento in crisi la solida omosessualità del protagonista, che ha lasciato in patria un compagno attempato e teneramente nevrotico (e per buona misura jazzista). Poi ci sono personaggi che si possono incontrare solo attraverso i racconti del vecchio, ma non per questo sono meno incisivi. Su tutti si staglia Galavamov, musicista mediocre che grazie allo stalinismo ha potuto trasformare il suo livore in una raffinata tecnica da aguzzino. (A me personalmente ha ricordato il famigerato Chauvelin, che nelle mie insane letture adolescenziali tormentava la Primula Rossa).
Direi che la forza di questo libro sono le note, e lo dico nel doppio senso della parola. Le note che l’intervistatore Prescott mette al margine dei suoi appunti e del suo diario ravvivano continuamente il testo con commenti estemporanei, tecnici o attinenti alla sfera privata, conferendo un senso di immediatezza, di sincerità a volte irriverente, e comunque dando veridicità a quella dimensione transitoria che ci si aspetta da appunti elaborati in corso d’opera. Mi viene in mente che se Morandini fosse un pittore sarebbe forse un esperto nel trompe-l’oeil. Non da meno, nel senso della credibilità, sono i verbali degli interrogatori e i racconti del vecchio Dvoinikov.
E veniamo alle altre note, quelle musicali. Morandini ha una rara capacità di descrivere (o forse bisognerebbe dire riprodurre) la musica con le parole.
Quella lunga, meditativa melodia che attraversa tutto il brano ora fluttua tra il si minore e il si bemolle maggiore, generando conflitti dissonanti di un’asprezza disperata con gli accordi di re, che ora sono assieme maggiori e minori e si dilatano verso intervalli estranei. La dolente cantabilità del tema come io lo conoscevo – come lo conosceva il mondo – e amavo, ora si dipana ferita, aliena, del tutto priva di indulgenze, macabra più che patetica. Eppure, nei rari momenti in cui il tema abbandona l’ostico si bemolle per spostarsi nel si minore, si apre a consonanze di una dolcezza senza pari, che risuonano più strazianti proprio perché così rare, così reticenti.
Brani come questo, credo, sono tali da dare piena soddisfazione ai conoscitori di musica, che vi trovano riferimenti precisi, ma anche di dare suggestioni (parola mia) a chi di musica è assolutamente digiuno.
Davvero questo libro, giustamente paragonato a una matrioska, è una specie di scrigno delle meraviglie, da cui vengono fuori storie e frammenti di storie, fra cui perfino un racconto di fantascienza scritto da un musicista del Settecento. A volte sono frammenti piccolissimi e gustosi, come il dialogo con il DJ Kosmo, ignorante rimbambito dalla techno, dove l’umorismo, materiale sempre presente nell’amalgama del testo, ha il suo momento di apoteosi.
Alla fine, dopo un’appagante lettura, restano due impulsi urgenti da soddisfare: cercare a qualunque costo notizie di Dvoinikov, per sapere se esiste, e subito dopo, fallita la ricerca, domandarlo direttamente all’Autore.
(Giovanna Repetto, su http://www.paradisodegliorchi.com)

  • Share on Tumblr