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Ogni due anni (ultimamente ogni dodici mesi) esce un romanzo di Morandini, e ogni volta lo scrittore di Aosta mi prende in contropiede. Inutile tentare di farsi un’idea della sua prossima scorribanda narrativa sulla base dei romanzi già scritti. Morandini ha una diabolica capacità di cambiare le carte in tavola. L’ultima volta ci ha servito un raffinato romanzo sulla musica contemporanea dalla struttura eterogenea ma tremendamente efficace. Questa volta, invece, segue le surreali se non beckettiane peripezie di un gruppetto di autentici, assoluti, monumentali sfigati in tutti i sensi del termine: da Spaventa, uomo illustrato e fachiro fallito, a Ollssen, misantropo violento e incattivito, a Casamagna che convive con una bambola di gomma, al truffatore Semenzani. Una galleria di casi a metà tra il patetico e lo sgradevole, se non il ripugnante. Ai vari personaggi sono assegnate alcune disavventure individuali prima di venire imbarcati in una sconclusionata impresa collettiva, che definirei la spietata e lucida demolizione del mito dell’on the road.
Morandini sembra volerci far capire che ci si può muovere tanto senza andare da nessuna parte, e così facendo attacca quell’ansia di spostamento che è uno dei miti dell’identità maschile. Non che se ne faccia scappare gli altri: in questo romanzo gli uomini manifestano un passabile campionario delle varie forme di idiozia di quello che un tempo si chiamava sesso forte, tratteggiato con una prosa mirabilmente precisa, elegante e curata, senza mai strafare.
Ma c’è dell’altro. Intessute nei vari episodi di volta in volta grotteschi, onirici, angoscianti, farseschi, ci sono tante ma tante allusioni a classici della letteratura d’ogni tempo e paese. Io ci ho trovato Poe, Bradbury, Eliot (presente anche in epigrafe), Kafka, Buzzati (tanto Buzzati), ma senza darlo troppo a vedere, senza esibire, senza colpi di grancassa. E anche per questa misura Morandini dimostra eccezionale controllo della sua macchina narrativa, confermandosi come uno dei romanzieri più competenti e spiazzanti nel nostro panorama letterario – che in fin dei conti, se uno ignora i vari premi letterari e gli scrittori da talk show, non è tanto avaro di soddisfazioni quanto si creda comunemente.
(Umberto Rossi, “Pulp libri” n. 99, settembre/ottobre 2012)

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