“Lei ha imparato a convivere con un segreto, che rivela solo a coloro che ritiene pronti. E ama di un sofisticato amore quel segreto, perché esso lo rende diverso dagli altri, migliore – e non parlo dell’essere un compositore”. Dopo Nora e le ombre e Le larve, l’autore sceglie per il suo terzo romanzo una veste nuova che racchiude al suo interno diversi e preziosi ornamenti. E così la scrittura si anima, si trasforma e si completa in un girotondo di stili e forme: dalle lettere al saggio, dalle pagine di conversazioni e di diario alla trascrizione di un pamphlet settecentesco. In apparenza protagonista, la musica dà il titolo al libro, ne accompagna la trama, i suoi protagonisti, ma si svela pretesto per riflessioni, ricerca di senso, scoperta di pensieri. La rapsodia di Dvoinikov ha un solo tema, il più dolce di tutto il Novecento, e viene suonato una volta sola, all’inizio: “ce ne fa sentire subito la nostalgia (…), pare prepararne l’evocazione in più momenti, ma ci lascia sempre delusi. Il supplizio di questa attesa tradita, misteriosamente, suona dolcissimo, irresistibile. È come addormentarsi desiderano di morire”. Ancora una volta Morandini ci regala una scrittura intensa, completa ma non conclusa all’interno della quale serpeggia, con leggerezza, quella sottile sensazione di attesa, vana ed inevitabile, per qualcosa che non verrà più o non verrà mai. Una sensazione che s’insinua nel lettore grazie o per colpa di un’ironia malinconica che, qua e là e mai a caso, fa capolino nella narrazione e che si rafforza nel sorprendente finale che rimette ordine nell’apparente disordine del testo. Al lettore non resta che prenderne atto.

(Stefania Celesia, “Gazzetta Matin”, 24 maggio 2010)

 

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